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A tutte le donne
E a tutti gli uomini
Che mi hanno preceduta
E attraverso i quali
La Vita è scorsa fino a me
Dalla notte dei tempi.
“Sii paziente verso tutto quello che è irrisolto nel tuo cuore e… cerca di amare le domande per se stesse, come stanze chiuse a chiave, o libri scritti in una lingua sconosciuta. Non cercare le risposte, che non ti possono venire date perché non saresti in grado di viverle. E il punto è vivere tutto. Vivi le domande in questo momento. Forse a poco a poco, senza quasi notarlo, continuerai a vivere fino a ritrovarti, un giorno lontano, dentro le risposte.” Rainer Maria Rilke
TUTTO E’ CONNESSO:
ESPLORAZIONE DEI CAMPI MORFICI
NEL LAVORO CRANIO-SACRALE,
IN SINTONIA CON LE COSTELLAZIONI FAMILIARI
Tesi a conclusione del Master in Biodinamica Cranio-Sacrale con Michael Kern
CHIARA KOMALA ZANCHETTA
“Nella realtà più profonda, al di la di tempo e spazio, potremmo tutti essere membri di un unico corpo” James Jeans,astronomo e fisico
Quando ero piccola, negli anni delle elementari, spesso non riuscivo a prendere sonno, perché non capivo come l’universo potesse essere “nato” a un certo punto, e probabilmente “morire” un giorno in un lontano futuro. Era il nulla che non mi dava pace: come poteva esserci il nulla prima se da esso a un certo punto l’universo nasceva, e come poteva esserci il nulla dopo, se prima c’era stato qualcosa. E dove l’universo comunque finiva, cos’era questo nulla che appariva? Continuavo ad esplorare il nulla e lo trovavo “PIENO”, così come sapevo che l’aria, che sembrava vuota, era in realtà piena di particelle a me invisibili.
Riuscivo ad addormentarmi quando a un certo punto tutto mi appariva come un cerchio in cui non c’era né inizio né fine, e dove inizio e fine si susseguivano all’infinito, e il nulla, che sentivo non come assenza ma come presenza, seppur misteriosa, in qualche modo trovava un posto, perché in qualche modo era, esisteva, e in questa, che era prevalentemente un’esperienza, la mia mente si acquietava e il mio corpo si rilassava.
Non so da dove queste domande arrivassero, e nemmeno le risposte.
Nel tempo ho trovato varie strade. Al tempo stesso la domanda resta aperta, e nel profondo continua a guidarmi.
“To see a world in a grain of sand
and a heaven in a wild flower,
hold infinity in the palm of your hand,
and eternity in an hour”
William Blake
Ho rivolto presto il mio interesse a tutte le forme di benessere naturale. Sicuramente c’era anche un malessere che cercava sollievo. Infatti, poi, con la scoperta di una difficoltà a stare nel mio corpo, di una incontrollabilità del corpo e dei suoi vissuti da parte della sfera intellettuale con la quale ero stata abituata ad identificarmi, e con l’insorgenza di fastidi fisici di tipo allergico, il corpo ha iniziato ad affascinarmi con il suo mistero e con la sua imperfetta perfezione.
Il corpo è diventato così il mio ambito preferito di esplorazione.
Una spiegazione della connessione del Tutto mi era arrivata quando ho iniziato a studiare Shiatsu, circa 20 anni fa. Da allora ho sempre cara l’immagine della “tela che non ha tessitore” dove, secondo la visione Taoista, l’universo, il macrocosmo, è una grande tela di interconnessioni, in cui non vi è un creatore, ma è più come un grande organismo che esiste grazie alle leggi della sua natura intrinseca, dove tutte le più piccole parti,i microcosmi, riflettono l’insieme, come in un ologramma (vedi “Il principio olografico”, cap. 2 del libro di Michael Kern).
Questa tela che continua a tessersi da sola, di cui ognuno di noi è parte e contribuisce a tessere.
Comunque, ovunque volgo lo sguardo, ritrovo forme diverse che parlano della stessa connessione: da fonti antiche, soprattutto legate alla spiritualità, a fonti moderne, dalla fisica quantica alle scienze sociali. Nelle miriadi di esplorazioni, c’è sempre chi arriva all’interconnessione di tutto. E spesso, chi non ci arriva, sembra comunque descrivere qualcosa che in questo tutto è compreso, più che negare la connessione.
“Possa io essere in grado:
di vedere cosa sono pronta a vedere,
di udire cosa sono pronta ad udire,
di conoscere cosa sono pronta a conoscere,
e di essere come sono.”
Janet Adler
Ho ricevuto le mie prime sessioni di Cranio-Sacrale dalla mia amica Lydia Cattani circa 10 anni fa. La cosa che più mi aveva colpito erano certi spazi di quiete profonda, in cui il mio essere sprofondava e si disorganizzava, vivevo delle esperienze che sentivo significative ma di cui non riuscivo a mantenere una memoria, e se venivo sollecitata dalla domanda “Che casa sta accadendo adesso?”, sentivo la domanda cadere come un sasso nell’acqua, e l’unica cosa che per lungo tempo riuscivo a esperire erano le onde d’acqua che si creavano attorno al punto in cui il sasso era penetrato nell’acqua, ed ero solo quello spazio di onde concentriche che si allargavano. Il senso di benessere che provavo durante e dopo era strano e a un livello non necessariamente fisico. Nel senso che non era tanto il corpo che sentivo star meglio, quanto il campo che lo accoglieva. Come se dalla disorganizzazione percepita durante il lavoro fosse emersa una nuova riorganizzazione.
Di conseguenza, poteva accadere un benessere fisico e un’attenuazione dei sintomi, ma se questo non accadeva, c’era comunque uno spazio maggiore in cui accoglierli ed era più facile “starci insieme”.
Poi in seguito, quasi più per caso, ho conseguito una formazione in CS.
Uno degli aspetti per me più intriganti della pratica CS è sempre stato quello di portarmi a un limite dove le mie conoscenze, le mie abilità, i miei schemi, entravano in collisione con qualcosa di altro che si mostrava in una forma ulteriore rispetto a quelle già esperite nel lavoro con il corpo.
Mi ritrovavo a quell’arco alla fine di un paesino in cima a un colle, oltre il quale, arrivando in macchina, si vedeva solo il cielo e non il paesaggio, e io da bimba pensavo “ecco, è così che potrebbe essere il punto in cui finisce l’universo”. Lo stesso turbamento e lo stesso anelito a esplorare, lo stesso momento di sospensione.
Chiaramente, una volta oltrepassato l’arco, il paesaggio conosciuto si ripresentava ogni volta, e restavo con la delusione di non aver potuto vedere come poteva essere la fine del conosciuto.
Con il CS, il paesaggio non è mai stato scontato, ci può essere la difficoltà, ma non la delusione.
“Non smetteremo di esplorare, e la fine di tutta la nostra esplorazione sarà arrivare là donde eravamo partiti e conoscere quel luogo per la prima volta.” T.S. Eliot
Un punto di svolta importante nella mia vita, sia professionale che privata, è avvenuto nel 2001 quando ho incontrato il lavoro delle Costellazioni Familiari (per una breve introduzione, vedi l’allegato “Cosa sono le CF”) secondo gli insegnamenti di Bert Hellinger, un anziano psicoterapeuta tedesco. Questo incontro mi ha portato a conseguire una formazione in CF.
Le CF sono state come inchinarsi davvero per la prima volta. Io lì sono rinata.
Il lavoro delle CF ha avuto un forte impatto sulla mia pratica CS: i due campi hanno iniziato a interagire spontaneamente, come se parlassero una stessa lingua. Ne è nata un’interazione che si sta sviluppando, e che mi porta anche in questa esplorazione a tenerne di conto.
Quando l’interazione è iniziata, quello che ho iniziato a cercare rispetto al CS era: una nuova terminologia che definisse cose che via via emergevano e che esperivo, delle precise indicazioni affinché certe esperienze non fossero solo casuali ma anche consapevoli e dare una forma al ponte che si stava costruendo fra le CF e il CS.
Per me un grosso impulso in questa direzione è avvenuto grazie al Master di CS Biodinamico con Michael Kern.
La piacevole sorpresa è sta la profonda sintonia nel linguaggio e nella pratica del CS Biodinamico e delle CF.
“Nulla esiste se non in un istante, nella forma e nel colore del momento presente.
Ogni cosa fluisce in un’altra, e non può essere afferrata.
Anche sotto un pesante manto di neve possiamo scorgere i bucaneve e qualche altra pianticella che comincia a crescere.”
Suzuki Roshi
Ho scelto così di approfondire la parte che più esplicitamente per me connette questi due lavori: la facilitazione di un ordine che dà forza e benessere attraverso la connessione con qualcosa di più grande.
E per spiegare quella che è la mia esperienza del campo mi sono approfondita la teoria dei campi morfici del biologo inglese Rupert Sheldrake, che cercherò di riassumere.
Sutherland parla della Grande Forza Creatrice o Grande Intelligenza, come di un grande campo dal quale a un certo punto emerge una vita unica e irripetibile sotto forma di essere umano. Hellinger parla di “qualcosa di più grande di cui noi facciamo parte”, qualcosa di misterioso, rispetto al quale siamo piccoli e che non ci è dato di comprendere appieno, se non di farne in qualche modo esperienza.
La stessa profonda riverenza e rispetto a questa Forza più grande è per me la base sia del lavoro CS che di CF. In questo senso i due lavori riconoscono una dimensione che viene prima ed è più grande della semplice dimensione materiale e la contiene, e che al tempo stesso non sminuisce questa dimensione materiale, ma anzi la rende ancora più umana e preziosa.
“Perché dentro l’essere umano è dove Dio impara” R.M. Rilke
Ho incontrato il lavoro del biologo inglese Rupert Sheldrake e la sua teoria dei campi morfogenetici, o più generalmente morfici (in quanto includono sia forma che comportamento), inizialmente in riferimento alle CF, in quanto veniva citata da più parti in supporto a questo tipo di lavoro.
Dopo aver iniziato il percorso Biodinamico CS, la teoria di Sheldrake mi è servita anche come mappa di riferimento per esplorarlo.
Mi era chiarissimo che qualcosa di più grande si muoveva anche in questo lavoro, e che la correzione di uno strain era solo l’evidenza più “superficiale” di un meccanismo più profondo. Continuamente facevo esperienza di momenti in cui era la sintonia profonda e il mio farmi da parte che permetteva una riorganizzazione, e non un mio eventuale intervento.
La base fondamentale di tutto il mio lavoro è sempre stata la meditazione. A volte (anche spesso) nel CS mi osservavo (e mi osservo!) “lottare” nel tentativo di integrare il conosciuto con lo sconosciuto, il visibile con l’invisibile. Era come se, seduta davanti al lettino, da una parte ci fossero tutte le nozioni tecniche, dall’altra tutte le mie comprensioni altre, e nel mezzo questo essere sdraiato sul lettino, che mi onorava con la sua presenza, e un grande punto interrogativo che aleggiava nella stanza. A volte il senso di dubbio mi accompagnava per tutta la sessione, o andava e veniva, altre volte accadeva qualcosa, per cui tutto trovava una sua unità, e io mi sentivo una testimone privilegiata, ma quando chiudevo la porta dietro al cliente che tornava a casa, mi chiedevo “ma cosa è successo?” oppure “cosa non è successo?”.
Il CS è una bella pratica di stare nello sconosciuto!
L’incontro con la Biodinamica mi ha aiutata a inserire lo sfenoide, la flesso-estensione, ecc. in uno spazio più grande. Come dire, mi ha dato una mappa con cui riesco a orientarmi là dove prima mi perdevo. Con questo non intendo dire che la vecchia mappa fosse meno accurata, anzi, senza quella non sarei mai arrivata al confine oltre il quale necessitavo di una mappa ulteriore. E oggi entrambe sono ugualmente necessarie. Solo con quella nuova, sarei altrettanto persa.
Preciso questo, perché mi dispiace quando sento gli operatori parlare di un approccio o di un altro come se avessero un valore maggiore o minore. Se tutto contiene tutto, la cosa fondamentale è fare bene quello che si fa.
“L’organismo maturo, anche se sviluppato, non è un’entità “superiore” a quella dell’ovulo da cui è cresciuta” Erich Blechschmidt
Forse perché il linguaggio è una prerogativa dell’essere umano, trovare parole per descrivere l’esperienza (fermo restando che una parte è comunque inesprimibile) mi ha sempre aiutata a organizzare l’esperienza e ad andare più in profondità. A portare una ulteriore consapevolezza alla consapevolezza di un’esperienza che parla da sola.
E sono grata a una delle mie prime insegnanti di Shiatsu, Nini Melvin, che mi spingeva a trovare le parole per esprimere l’esperienza, quando ancora non le avevo e soprattutto non mi sembravano importanti.
Nonostante che:
“Si deve diventare un’altra volta così semplici e senza parole come il grano che nasce, o la pioggia che cade. Si deve semplicemente essere.” Etty Hillesum
L’incontro con l’approccio Biodinamico al CS mi ha aiutato a tessere ulteriormente la tela iniziata. Mi è servito a collegare alcuni pezzi sparsi, a dare un nome e un senso a esperienze senza nome, ed a creare maggiore spazio, così che la visuale fosse più completa. In particolare questo spazio più ampio mi è servito a respirare più profondamente, e lasciare che il tutto fluisse più liberamente. E così una parte della mia attenzione è andata proprio all’esplorazione di questo spazio, di questi campi che trasportano le informazioni e che si combinano continuamente con la creatività della vita stessa.
Per Sheldrake ogni sistema del cosmo che si auto-organizza (esseri viventi, ma anche cristalli, o esperienze, o molecole, ecc.), è organizzato da un campo morfico di appartenenza a quel sistema specifico, che contiene tutta la memoria dell’evoluzione del sistema stesso, dal suo inizio fino al momento presente.
Etimologicamente morfico deriva dalla parola greca “morphe”, che significa forma, quindi i campi morfici sono campi che organizzano la forma.
Sono campi che contengono tutte le informazioni, la memoria relativa all’evoluzione di quel particolare sistema.
In un certo senso i campi morfici sono dei campi di abitudine, nel senso che più certe cose accadono più è facile impararle. Più aumentano le persone che imparano una cosa nuova, più diventa facile anche per gli altri impararla, come è stato provato con esperimenti di laboratorio con ratti, ma ci sono tanti esempi.
In chimica quando si crea un nuovo composto e si cerca di farlo cristallizzare, è molto difficile. Nel tempo diventa sempre più facile. Inoltre, se un nuovo composto è stato cristallizzato in un laboratorio, sarà più facile ottenere la stessa cristallizzazione in un qualsiasi laboratorio in qualsiasi parte del mondo.
C’è l’esempio classico, di un’osservazione fatta in un arcipelago in cui vivevano delle scimmie. Quando in un’isola le scimmie imparavano una nuova abilità, nonostante che non ci fosse possibilità di comunicazione fra le scimmia che abitavano nelle altre isole, dopo poco anche in altre isole altre scimmie imparavano la stessa abilità.
Una volta Einstein nei suoi studi arrivò ad una conclusione che gli sembrava insensata, e la mise da parte. Poco dopo fu contattato da un altro scienziato che in Russia aveva fatto la stessa scoperta. Come diceva infatti Einstein, lui in realtà non aveva inventato niente, semplicemente era entrato in sintonia con una nuova nozione che “era nell’aria”, e che chiunque avrebbe potuto accedervi, semplicemente era successo a lui, ma non era da farne un vanto personale.
La scrittrice nativa nord-americana Lesile Marmon Silko nel 1991 ha pubblicato un romanzo, “Almanac of the dead”, dove narra, fra le tante storie che sono diventate di attualità in seguito, di una rivoluzione degli indigeni in Chiapas capeggiata da un uomo e da una donna. A gennaio 94 gli Indios del Chiapas insorgono, e spiccano nelle fila dei leaders due figure: il subcomandante Marcos e la comandante Ramona. La CIA allora va a trovare la Silko per interrogarla. Lei risponde che le storie sono nell’aria, e semplicemente, come scrittrice, gli ha dato voce. Niente di più.
Ognuno di noi ha esperienze che risuonano con queste.
Il campo morfico è localizzato sia dentro che attorno al sistema che organizza e risuona con i campi morfici di altri sistemi simili. Questa risonanza avviene sia attraverso lo SPAZIO (connessione con campi simili lontani fisicamente) che il TEMPO (connessione con campi simili esistiti in precedenza). Il mezzo di trasmissione resta oscuro, e Sheldrake lo definisce RISONANZA MORFICA: è un processo misterioso, non locale, è come uno schema che si espande appunto attraverso spazio e tempo. E’ la memoria della Natura.
Newton a suo tempo aveva detto che ogni particella di materia influenza ogni altra particella di materia nello spazio attraverso lo spazio vuoto; in seguito Einstein aveva scoperto che questa azione a distanza avveniva attraverso campi gravitazionali, non attraverso il vuoto.
E’ attraverso questa risonanza che ogni forma eredita il suo campo di appartenenza.
Per cui il seme di un certo albero è connesso con il campo morfico di quel tipo di albero, che contiene le informazioni che permettono all’albero di diventare tale, è connesso a tutti i tipi di quell’albero esistiti prima, e a tutti i tipi di quell’albero esistenti nel momento su tutto il pianeta.
Come esseri umani, ad es., abbiamo dei campi morfici specifici che organizzano ogni sistema familiare. Il campo di un sistema familiare è contenuto in un campo più ampio di una cultura, di un paese, di una razza. Tutti questi campi sono contenuti in un campo ancora più ampio, che è il campo del genere umano. Quindi si forma una gerarchia concentrica, dove i più piccoli sono contenuti nel più grande. E tutti questi campi risuonano fra loro. Questi sono i campi morfici con cui in specifico si lavora con le CF.
Oggi mi siedo nello stesso posto
Dove altri sedettero in passato.
Fra mille anni altri ancora verranno.
Chi è che intona il canto,e chi l’ascolta?
Nguyen Cong Tru
Ogni organismo ha campi contenuti in altri campi: ad es. i campi di ogni parte della cellula (i campi dei ribosomi, i campi dei mitocondri, ecc) sono contenuti dal campo della cellula, e ogni cellula ha un suo campo, e i campi di tutte le cellule sono contenuti nel campo più grande di quell’organismo e in un campo ancora più grande di tutte le cellule simili di tutti gli organismi,e così via. E tutti questi campi risuonano tra loro.
Al livello più grande tutti i vari campi sono contenuti da ciò che Sheldrake definisce contesto spirituale, o Anima, rifacendosi al concetto più ampio di Anima usato da Aristotele, “ciò che rende le cose vive”. Ma si può semplicemente chiamarlo il Tutto.
In questo senso l’anima non appartiene solo all’essere umano, ma a tutta la natura, al Tutto.
“Se osiamo avventurarci lungo il ponte che dalla testa porta al corpo, potremo trovare la nostra anima nell’oscurità e potremo trovare le domande che la sollecitano, aprendo ogni cellula mentre la portiamo alla coscienza.” Marion Woodman
Rispetto alla relazione corpo-anima Sheldrake dice con Aristotele: “l’anima non è nel corpo, ma il corpo è nell’anima”, per cui l’anima è qualcosa di più grande. L’anima è così sinonimo di campo morfico.
Il corpo: “quella parte di anima percepita dai 5 sensi” William Blake
Ad ogni livello l’insieme organizza le parti che comprende e le parti influenzano l’insieme, quindi c’è un’influenza bidirezionale e reciproca. Ogni sistema al tempo stesso attinge e contribuisce alla memoria collettiva della sua specie.
Anche ogni schema di attività (ogni stato di consapevolezza, ogni esperienza, ecc.) ha una struttura, e queste strutture possono muoversi da una persona a un’altra attraverso la RISONANZA MORFICA. Queste strutture sono influenzate da tutti gli schemi simili esistiti nel passato, creando una memoria collettiva, qualcosa di molto simile all’inconscio collettivo di Jung.
Questi campi morfici connettono i membri di un gruppo insieme, anche quando essi si trovano molto lontani fisicamente tra loro, e li connettono con tutti gli individui che hanno fatto parte di quel gruppo in passato, fin dall’inizio di quello specifico gruppo.
Sheldrake vede l’evoluzione come una combinazione continua della ripetizione di vecchie forme, di vecchie abitudini, con la creatività, permettendo così la nascita di nuove forme, che si vanno ad aggiungere al campo. Mentre l’abitudine è dovuta alla risonanza morfica, la creatività è un aspetto intrinseco della vita che resta invece un mistero, dove la domanda è ancora aperta.
Potenzialmente, moltissime sono le possibili forme nuove, ma la selezione naturale permette solo a quelle che in qualche modo hanno successo di venire ripetute. Quindi anche molte idee buone vengono perse in questo processo di selezione.
In sintesi, l’incontro fra l’abitudine e la creatività porta a nuove forme, al cambiamento.
La vita quindi si sviluppa nella tensione continua fra ordine e cambiamento; costantemente si crea una destabilizzazione che tende a spezzare i vecchi schemi e a crearne di nuovi. La memoria fa si che la vita proceda non necessariamente in modo casuale ma con un certo ordine, con una certa qualità cumulativa.
Quindi, il passato, che è sempre presente nel presente e lo influenza continuamente, viene anche trasformato. Questo perché la natura è viva, è un organismo in continuo sviluppo, più che essere guidata da leggi fisse.
Il campo morfico porta le informazioni del destino individuale.
A un livello biologico di base, grazie al suo campo morfico di appartenenza, tutte le forme hanno il destino di svilupparsi nella forma matura della propria specie di appartenenza.
L’embrione ha il destino di diventare un essere umano adulto, di raggiungere la sua forma matura, come tutti gli animali e le piante.
Il seme di quercia ha il destino di diventare una quercia matura.
“O castagno fiorito dalle tue
Grandi radici, sei tu la foglia, sei il fiore o il tronco?
O corpo governato dalla musica, o sguardo splendente,
Come possiamo distinguere chi danza dalla danza?”
W. B. Yeats, “Fra le scalare”
A un livello biologico di appartenenza al mondo animale, l’embrione ha il destino di riprodursi, anche se non è detto che lo farà.
C’è poi un livello psichico o spirituale, dovuto alla specifica appartenenza al regno umano, dove si possono includere tutti i punti di vista possibili, dalle teorie più materialistiche a quelle spirituali, dalla reincarnazione alla resurrezione finale.
E qui mi sembra di capire che ci troviamo in un’area in cui entra in gioco una certa libertà di scelta, a livello individuale: Sheldrake dice che si può scegliere di sintonizzarci con una specifica visione, atea, cristiana, buddista, mussulmana, ecc. “oppure, se non ci pensiamo o non scegliamo, si cade nel minimo comune denominatore”.
Il futuro Sheldrake lo definisce “stato potenziale o virtuale del sistema”.
Le teorie sull’evoluzione si possono schematizzare in 2 grandi correnti: da una parte, la più occidentale, l’evoluzione è come “tirata” da un futuro stato di perfezione; dall’altra è vista come “spinta” dal passato.
Sheldrake, rifacendosi alla ricerca dei sistemi dinamici, parla della nozione di ATTRACTOR: ciò che attrae. L’es. classico è quello della pallina fatta girare in una ciotola: il fondo della ciotola è l’attractor della pallina, lo stato finale verso il quale la pallina tende.
Così l’attractor del seme della quercia guida la crescita della quercia verso la sua forma matura. L’attractor è prevalentemente inconscio. E’ come il futuro che tira ma NON è il futuro, non è necessariamente ciò che accadrà in futuro; infatti la quercia potrebbe venir tagliata prima di raggiungere quella forma.
Questo mi risuona con le teorie che parlano di passato, presente e futuro tutti costantemente presenti nel qui e ora: come tutto è già disegnato e al tempo stesso non lo è.
Così una persona può avere un proprio destino o scopo; anche se questo può diventare il futuro, non è necessariamente il futuro di quella persona. Di questo se ne fa esperienza in modo molto toccante nelle CF quando viene portato alla consapevolezza un disegno nascosto che guida le azioni di una persona, o di un sistema familiare, e si crea uno spazio per la sua trasformazione.
“Ciò che non è portato alla consapevolezza, ci arriva sotto forma di destino” Jung
Questi campi morfici non sono consapevoli, ma alcuni loro aspetti possono diventarlo negli esseri umani.
Così come il nostro corpo-mente funziona prevalentemente in modo inconscio, dall’attività fisiologica a tutta una serie di apprendimenti (es. guidare la macchina), così è inconscia l’attività della natura, guidata appunto da questi campi morfici che sono inconsci.
E possiamo così vedere come allora la natura tutta, guidata da questi campi, abbia una natura simile a quella della mente.
“L’universo comincia a sembrare più simile ad un grande pensiero che non a una grande macchina”
James Jeans, astronomo e fisico
Normalmente si dice che la memoria è immagazzinata nel cervello. In realtà ci sono poche evidenze al riguardo. L’idea che sta sviluppandosi da più parti, sostenuta anche dalla teoria di Sheldrake, è che la memoria non è immagazzinata nel cervello, ma in campi di informazioni a cui il cervello ha accesso.
Quindi la nostra mente non sembrerebbe risiedere nella corteccia, ma il cervello potrebbe semplicemente essere lo strumento che permette di sintonizzarci con questi campi di informazione che si trovano attorno a noi.
I campi morfici dell’attività mentale si estendono al di là del nostro cervello attraverso l’intenzione e l’attenzione, così come il campo magnetico si estende all’esterno della superficie del magnete.
E l’intenzione e l’attenzione sono 2 elementi chiave del nostro lavoro come operatori CS, prima ancora di qualsiasi altra cosa.
Un altro aspetto di questa teoria è in perfetta risonanza con ciò di cui parliamo in Biodinamica CS: i geni contenuti nel DNA fanno parte di questi campi di organizzazione, dove giocano un ruolo essenziale, ma non sono ciò che spiega l’organizzazione, la creazione di una data forma. Non è l’informazione dei geni che spinge la cellula allo stadio di indifferenziazione a migrare in una zona per poi specializzarsi e dare vita a una struttura specifica, e una cellula identica a migrare in un’altra parte e specializzarsi in un’altra struttura, ma l’informazione contenuta nei campi morfici.
Sappiamo che il DNA codifica i materiali con cui il corpo è costruito (enzimi, proteine, sequenza degli amminoacidi, ecc), ma non organizza il progetto che stabilisce la forma. Sheldrake usa l’analogia del costruire una casa: il DNA si occupa dei mattoni, ma il progetto della forma non è nei mattoni, essi contribuiscono semplicemente a crearla. Infatti abbiamo lo stesso DNA nelle cellule delle varie parti del corpo, ma ogni parte ha una forma diversa.
Una mutazione genetica può comunque avere un’influenza sullo sviluppo, ma più come un mattone difettoso può interferire col progetto o come un cavo della televisione malfunzionante fa apparire le immagini sul video distorte, anche se nel campo di ricezione le informazioni sono complete.
Anche nel lavoro dell’embriologo Erich Blechschmidt troviamo evidenze in sintonia con questa visione.
“Nell’astronomia Lakota, le stelle sono chiamate il Respiro del Grande Spirito. E’ come se i vecchi Lakota avessero previsto la moderna fisica e astronomia, scienze che oggi ci dicono che siamo una trasformazione della materia delle stelle, che il corpo umano è un tipo di cosmologia”
Linda Hogan
Ero partita dal Respiro della Vita, o Grande Intelligenza, che guida l’organizzazione che porta alla forma, e ho esplorato i campi morfici per dire che questo Respiro della Vita potrebbe essere visto come il campo morfico del Tutto.
“Senza il Respiro della Vita non ci sarebbe nessun altro movimento”. Michael Kern
Dal campo del Tutto, dal Respiro della Vita, questo Tutto si manifesta diversificandosi in ulteriori campi che daranno origine a forme diverse.
In Biodinamica CS si parla di 3 campi in particolare, dette le 3 Maree. Esse sono ciascuna una manifestazione di un diverso livello di funzionamento del Respiro della Vita, e ognuna è contenuta nell’altra, a partire dalla più lenta e stabile, la Marea Lunga, che include la Marea Media ed entrambe includono l’impulso ritmico craniale. Troviamo di nuovo una gerarchia concentrica. Entrare in contatto con ognuna di esse è proprio come entrare in contatto con dei campi di informazioni specifici.
La Marea Lunga viene indicata come quella che stabilisce la matrice dello sviluppo embrionale. Quindi in questo senso potrebbe essere paragonata al campo morfico che trasporta le informazioni per la formazione dell’essere umano, il campo più grande che accomuna tutti gli esseri umani.
La Marea Lunga viene descritta come un campo che è sia nell’individuo che al di fuori di esso, e con un campo di azione molto ampio, in cui c’è scambio con l’ambiente.
In Biodinamica si dice che accedendo alla Marea Lunga si entra in contatto con un campo che contiene tutte le informazioni inerenti alla salute. E in questo senso non c’è bisogno di “fare nulla”, nel senso che non c’è bisogno di “imporre” niente dall’esterno, in quanto questo progetto ha in sé tutte le informazioni e la saggezza di cosa fare.
“La potenza del Respiro della Vita ha notevoli caratteristiche per il mantenimento della salute e dell’equilibrio. In questa potenza è contenuto un progetto fondamentale per la salute, che agisce a livello cellulare come un principio ordinatore e di regolazione di base. Questo principio integra il funzionamento fisiologico di tutti i sistemi corporei.” Michael Kern
Mi viene in mente una sessione di pratica che mi ha toccata particolarmente, alla fine del 2° incontro, quello sul Respiro della Vita, dove le indicazioni erano di cercare di sintonizzarci sulla Grande Quiete, o Quiete Dinamica, la quiete che è al cuore di tutta la creazione, per arrivare a un punto di confine, dove si può esperire uno scambio ritmico bilanciato (Dr. Becker) fra mondo della quiete (campo del Tutto?) e mondo della forma (campo della forma umana? O della forma in generale?). Uno spazio in cui si può accedere al livello più profondo di guarigione, ci è stato detto. Forse perché è una guarigione al di là del campo morfico umano e che avviene in connessione diretta con il Tutto, con la Grande Anima?
Come facilitatori possiamo iniziare disponendoci a lavorare con uno dei campi. Al tempo stesso lasciamo lo spazio aperto affinché sia il campo specifico che in quel momento chiede di essere visto a presentarsi.
Nella mia esperienza mi sembra di notare che l’emergere di un campo piuttosto di un altro possa in parte dipendere dal tipo di incontro che avviene fra il campo del facilitatore e quello del ricevente. Questo incontro oltretutto mi sembra basato soprattutto su un livello inconscio, così come appunto sembrano funzionare i campi morfici. Con l’esperienza, alcuni aspetti di questo incontro possono diventare consci, e così si scoprono modalità e indicazioni di lavoro più adeguate, e tutti noi ne conosciamo una parte, ognuno ha i suoi modi di predisporsi a questo incontro affinché avvenga nel miglior modo possibile. Ma sempre tutta la nostra attività conscia resta guidata dall’aspetto inconscio, che è sempre più grande di quello conscio.
“L’intenzione funziona quando è in sintonia con la realtà” Jack Kornfield
Nella mia esperienza, noto che più “conosco” più posso rivolgere la mia intenzione in modo focalizzato. Con il CS questo mi aveva già portato a suo tempo a innamorarmi dell’anatomia e della fisiologia, aspetti che quando ero giovane e aspiravo a qualcosa di più “alto” e più “spirituale” mi sembrava materia degna di poco interesse.
“Tutti presi dall’aspettativa delle cose meravigliose che potranno accadere in futuro, non udiamo il suono del vento e della pioggia, il respiro e il battito del cuore in questo istante” Toni Packer
Quindi prima un tuffo dentro la fisiologia e l’anatomia, e poi, rallentando l’ascolto, le sue parti sottili, inerenti a questa materia che tocchiamo, sono diventate sempre più evidenti e altrettanto percepibili. E c’è stato bisogno di nuove esplorazioni e nuove conoscenze.
“La verità è, che non sappiamo” Jack Kornfield
Questa affascinante avventura al confine tra il conosciuto e lo sconosciuto! Da una parte cercare di conoscere e continuare ad esplorare, e al tempo stesso, lasciare tutte le porte aperte.
“Non conosciamo le possibilità di guarigione, e le stiamo imparando adesso. Nessuno può fare più di quanto la Natura permetta” Dianne M. Connelly
Nella pratica, scopro continuamente che mantenendo uno spazio ampio e umile è possibile lavorare e promuovere benessere anche con il non sapere, semplicemente tenendo la domanda aperta, come un koan che può essere compreso solo attraverso l’esperienza.
La differenza la fa proprio la connessione con un campo ampio, dove sembrerebbe proprio che ci siano tutte le informazioni, e con l’umiltà, disponendosi a restare più piccoli di fronte a qualcosa di più grande. E restare più piccoli non vuol dire non riconoscere cosa possa essere più appropriato in un certo momento.
E’ che se riesco a riconoscere e rispettare i miei limiti, posso comunque fare un buon lavoro. Molto di più che se cerco di fare la “grande terapista”, quindi di essere più grande di quello che sono.
Nelle CF si parla di ordine, un ordine che per l’Anima è importante che sia rispettato: c’è chi è più grande e c’è chi è più piccolo, in quanto c’è chi viene prima e c’è chi viene dopo, come semplice dato di fatto, nessun implicazione di valore. I genitori sono più grandi dei figli, in quanto sono nati prima, vengono prima nello scorrere della vita. Nel lavoro delle CF vediamo che se questo è rispettato c’è benessere; se come figlia mi sento più grande di loro, o grande quanto loro, quindi non rispetto un ordine che esiste a livello dell’Anima, non sarò al mio posto e questo porta sofferenza nella mia vita, in una forma o in un’altra.
Essere più piccola è una disposizione interiore, nulla toglie al fatto che sono comunque adulta.
Quello che ho imparato da Hellinger, e che ho visto funzionare altrettanto nel CS, è che il facilitatore è più piccolo nei confronti del cliente: quando il cliente arriva, con la sua richiesta, egli è la punta di un iceberg di un sistema più grande. Quando il facilitatore si sente colui che può dare qualcosa al cliente, oppure vuol dare qualcosa al cliente, o ha un investimento nel volerlo far star meglio, si mette in una disposizione di essere più grande (come accade nella maggior parte dei rapporti terapeutici: il terapeuta sapiente e il paziente ignorante). A livello di un lavoro in sintonia con l’Anima, non porta molto lontano. Anzi, può anche portare malessere nella vita del terapeuta.
Non a caso sia nelle CF che nel CS nemmeno si parla di essere terapeuti, ma siamo operatori o facilitatori.
Quindi ho trovato una buona integrazione, nella disposizione interiore come facilitatrice di fronte a un cliente, fra la Biodinamica e le CF: in entrambi, controllo i miei fulcri e mi inchino di fronte al sistema che ho di fronte (il cliente con i suoi antenati) e resto più piccola.
“Se guardiamo, ciò che l’embrione sta facendo è di inchinarsi alla sua natura interiore. E’ un gesto incredibile: mettere la tua testa sul tuo cuore!” Michael Shea
Se solo controllo i miei fulcri, posso dimenticarmi il mio posto. Se solo mi inchino, lo posso fare meccanicamente. L’attenzione ai fulcri crea lo spazio affinché l’inchino interiore si esprima dal profondo.
A volte tutto questo può essere difficile, semplicemente perché nel campo della nostra cultura è più attiva l’abitudine di lavorare da terapeuti. Ma più lo facciamo, più diventa naturale. E più lo facciamo, più diventa facile per altri farlo.
E in questo ci aiuta connetterci con i campi di chi ha già imparato a farlo, nel passato come nel presente.
Una cosa che ci aiuta sono i rituali. Come dice Sheldrake, i rituali sono organizzati con dei campi propri, che contengono tutta l’esperienza di tutti quelli che li hanno eseguiti in precedenza, e di tutti quelli che li eseguono attualmente. Trasportando delle informazioni precise, se il rituale è eseguito correttamente, è più facile esperire ciò a cui esso tende. L’importanza ad eseguirlo correttamente è per Sheldrake legata al fatto che i campi dei rituali tendono ad essere molto conservativi.
I rituali, per Sheldrake, sono dei contesti attraverso i quali la memoria collettiva diventa conscia e viene invocata, oltre a connette gli individui con i propri antenati, o con i propri maestri.
Anche in Biodinamica CS parliamo di “rituali del contatto” che permettono la sintonizzazione con le Maree.
E qui mi fermo, per ora, nonostante che tante siano ancora le possibilità di esplorazione.
“Siamo il dischiudersi vivente della vita stessa. Nessuno può controllare questo dischiudersi. (…) C’è la possibilità di portare attenzione, di essere veramente presenti, e di ascoltare la nostra condizione umana. Possiamo condividere le nostre acquisizioni per il miglioramento di tutto?” Franklin Sills
Ringrazio l’opportunità di scrivere questa tesina, che mi ha permesso di coordinare un po’ di esperienze e di condividerle con chi la leggerà. Nello scriverla ho osservato come in buona parte si scriveva da sola: riflette la mia esperienza e il mio modo di esperire, e al tempo stesso non mi appartiene.
Ha avuto bisogno dei suoi tempi, indipendenti dai miei, ha chiesto che cancellassi delle parti e ne aggiungessi delle altre.
E’ solo un pezzetto di un processo che aveva già avuto inizio prima che l’ovulo da cui in parte mi sono formata si fosse formato in mia madre quando ancora lei si stava formando nell’utero della mia nonna materna, e prima che la cellula germinale progenitore dello spermatozoo che ha contribuito alla mia esistenza si fosse formato in mio padre quando ancora si stava formando nell’utero della mia nonna paterna.
E il processo continua….
Bibliografia:
§ Woodman Marion, “Lo sposo nascosto”