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I ritiri intensivi di consapevolezza

I ritiri “INTENSIVI DI CONSAPEVOLEZZA”

di Kapil Nino Pileri

Pubblicato su Psicologia Olistica 05 RE NUDO

I ritiri di “Intensivo di Consapevolezza” hanno origine dalla creatività di Charles Berner che lì creo nel 1968. Berner, fisico, matematico e ricercatore spirituale, aveva fondato nel 1954 l’Institute of Ability, basando il suo approccio sull’interazione relazionale fra gli individui. Come direttore spirituale dell’istituto, fece esperienza con moltissime persone sia in gruppi che in incontri individuali. Il suo lavoro era diretto verso lo studio dei fondamenti delle vita, il miglioramento della capacità di relazionarsi e la liberazione dalle emozioni traumatiche. Nel 1968 creo l’Intensivo di Illuminazione, basandosi su una tecnica molto potente in cui è possibile avere un’esperienza diretta della propria natura divina. Per diretta si intende che l’esperienza non è mediata dai processi mentali e di interferenza. La grande intuizione fu di unire tecniche dell’antica tradizione Zen della scuola Rinzai con moderne tecniche di comunicazione. Nacquero ritiri inizialmente di tre giorni e successivamente di cinque, quattordici e ventuno giorni. Quando questa metodologia di lavoro raggiunse il mondo di OSHO, furono apportate alcune modifiche inserendo le meditazioni attive e un’attenzione alla non separazione tra corpo e mente, il nome cambiò da Intensivi di Illuminazione ad Intensivi di Consapevolezza.

Lo strumento usato nei ritiri è il Koan, cioè una risposta esistenziale e non intellettuale, cioè una risposta che arriva solo nel momento presente e che ha la capacità di afre emrgere per ciascuno le proprie risorse dall’essere. I Koan usati nei ritiri di tre giorni sono ” Chi sono io?” o ” Chi c’è dentro?” e nella domanda stessa viene data la direzione dell’indagine, che è verso l’interno, con l’intenzione di avere un’esperienza diretta nel momento presente di ” Chi sono io?” o di ” Chi c’è dentro?”. Questi sono Koan esistenziali e possono essere esplorati anche per tutta la vita. Il Maestro Ramana Maharishi ad esempio basava solo ed esclusivamente il suo lavoro sulla domanda ” Chi sono io?”.

La struttura del gruppo riprende l’antica struttura dei Seshin dello Zen, ed ad essa viene data particolare attenzione. Questa permette al partecipante di essere libero da qualsiasi impegno e di poter indagare con il suo Koan. Vengono date continue indicazioni per permettergli di essere presente a se stesso e alla possibilità che l’esperienza diretta del Koan possa avvenire in ogni momento, improvvisamente. La struttura rende visibile il proprio condizionamento, le identificazioni e le immagini di chi noi crediamo o abbiamo sempre pensato di essere, emerge la struttura interna ed esterna ed è possibile disidentificarsi e lasciare che la consapevolezza si espanda.

Tecnicamente il lavoro si svolge in diadi, cioè due persone si siedono una di fronte all’altra e seguendo le istruzioni a turno una persona sarà nella parte attiva, cioè esplorerà il Koan , e l’altra in una parte passiva, cioè ascolterà la persona che esprime.

Nella parte attiva la persona riceve il koan, lo lascia entrare e inizia ad esprimere ciò che emerge dentro di sé; l’espressione non è solo verbale ma coinvolge la mimica della faccia, il tono della voce, il movimento degli arti e del corpo, la luce negli occhi, il colore della pelle. E’ un esprimere con totalità usando il koan nel momento presente e non nelle idee o nel passato, un uscire dalla staticità dell’essere definito per quello che si fa per dirigersi verso il dinamismo dell’essere. Particolarmente importante è usare il corpo fisico nell’esplorare emozioni, sensazioni, tensioni, percezioni del momento e indagarle senza definirle o catalogarle, ma entrando nella mia verità di Chi sono io nel momento presente.

La persona nella parte passiva chiede il koan alla persona di fronte usando la formula ” Dimmi chi sei?” e poi si apre completamente all’ascolto dell’altro senza fare cenni di assenso o diniego o altro, rimane immobile ed in silenzio e semplicemente ascolta. Ogni cinque minuti suona un gong e le posizioni si invertono, perciò chi era nella parte attiva passa alla passiva e viceversa. Le sessioni durano quaranta minuti e si ripetono dalla mattina presto alla sera intervallate da meditazioni attive e da tutte le attività quotidiane come mangiare, riposare, farsi la doccia e una sessione di meditazione del lavoro. Non ci sono pause e i partecipanti vengono invitati a usare tutto quanto il tempo e le attività per restare in uno spazio di consapevolezza del corpo, delle emozioni e della mente. L’invito è alla consapevolezza e alla disidentificazione.

Il ritiro si svolge in silenzio ed isolamento. Il silenzio è di grande aiuto per mantenere l’energia all’interno. L’isolamento, come parte della struttura, rende possibile il portare alla luce della consapevolezza i meccanismi e le modalità che quotidianamente vengono usate per definirsi, e accompagna il partecipante in esperienze di presenza e di osservazione che gli permettono la diretta esperienza del Koan. Isolamento vuol dire non avere nessun contatto fisico o verbale con l’esterno o con gli altri partecipanti fuori dalle sessioni.

Sono inoltre previsti incontri individuali con il conduttore, dove il partecipante viene supportato nell’uso del koan e nell’imparare a stare nel presente mentre lo usa. Il tempo è scandito da cimbali e gong durante tutto lo svolgimento. In questi anni di conduzione ho osservato come sia importante questo lavoro per la consapevolezza dei partecipanti nel fare esperienze dirette attraverso quello che succede nel corpo e nella mente, come una cosa sola. Ci sono persone che all’inizio non riescono a stare sedute a terra e dopo due giorni lo fanno con facilità e si muovono nel corpo con flessibilità e piacere. Avere anche solo per un momento l’esperienza diretta di essere consapevolezza e qualche cosa di magico e misterioso che ha a che fare con la vita e la sua manifestazione. E’ affascinante osservare come in soli tre giorni possano avvenire cambiamenti radicali di essere presenti, lasciando andare automatismi e la fissità di comportamento. La vita è dinamica e si esprime dinamicamente nell’essere momento dopo momento.

Dopo la conclusione del ritiro, il Koan non viene dimenticato, ma entra a far parte della modalità di auto-indagine della persona, aiutando a integrare tutte quelle parti che solitamente restano nascoste, non viste, rifiutate o represse. La persona impara a chiedersi: Chi sono io, in questo momento? Chi è che stà leggendo, proprio ora o camminando o lavorando o facendo l’amore? Quale è la mia verità in questo momento? Rimanendo presenti a se stessi, con fiducia ed amore, spontaneamente si diventa presenti anche agli altri, e questo è possibile perchè quì e ora ” Io ci sono”. Io che mi chiedo ” Chi sono io?”, il soggetto e l’oggetto non sono separati ma la medesima cosa, io sono il kaon.

La versione del ritiro di sette giorni, si chiama Satori.